Anita si guarda allo specchio, sistema i capelli biondi scuri infilandoci una matita, toglie gli occhiali e si ritrova a pensare che ha sbagliato tutto, nella vita. Bella, la casa di montagna che una volta era dei suoi nonni. Sistemata fuori dal paese, con una fantastica vista sulle montagne e sul torrente che scende dal profondo delle Alpi e arriva a valle. Ma isolatissima.
Avrebbe dovuto capire che quel torrente non se ne sarebbe stato tranquillo: soprattutto dopo cinque giorni ininterrotti di pioggia. Prima è cresciuto, poi è esondato e adesso lei si ritrova la cantina allagata. Non che ci fosse nulla di importante, là sotto: si è appena trasferita. Ma la sua Nuova Vita da montanara, fatta di calma, silenzio, tempo per scrivere i suoi romanzi e Nessun Problema comincia male. E adesso ha pure paura a scendere là sotto, anzi: a uscire di casa. E fuori, nel buio, piove sempre più forte.
Poi vede due luci nel buio. Due fari. Un suono acuto di clacson. Qualcuno si sta inerpicando sulla stradina dove l’asfalto finisce e inizia il suo prato. Una jeep. Non aspetta visite: la sua idea è di starsene lì e non vedere proprio nessuno, soprattutto dopo quell’ultima storia con quell’editor della sua casa editrice, che l’ha trattata male e, diciamolo, scopata anche peggio.
Ma chi è che sta arrivando fin lassù, a disturbare la sua solitudine di trentenne? Dalla jeep scende una figura, che spegne fari e motore e corre verso la casa. Oh, cazzo, pensa Anita. Un maniaco? Uno stupratore? Ma no, non si farebbe annunciare. Anzi: ora bussa pure alla porta.
“Vigili del Fuoco”.
Anita apre. La prima cosa che la colpisce è che quell’uomo deve quasi chinarsi, per entrare in casa sua. Lei arriva appena al metro e sessantacinque, ma quello è un due metri. La seconda è che, quando si toglie il cappuccio del giaccone giallo bagnato, ha una bella barba rossa. La terza è la guarda con una serietà che lei non si aspettava.
“Sta bene?”.
“Mi si è allagata la cantina, ma a parte quello…”.
“Dovrebbe evacuare la casa”.
“Perché?”.
“Perché si trova in una zona a rischio”.
“Per ora qua va tutto bene, non ne vedo il…”.
“Mi spiace, ma devo insistere”.
“E a me spiace, signor…”.
“Simone”.
“Bene, Simone” – e si sorprende a dargli del tu – “io resto qui”.
“Perché?”.
“Perché il grosso della piena è già passato e…”.
In quel momento, un tuono che sembra arrivare in stereofonia squassa tutta la casa e saltano le luci. Resta solo il fuoco del caminetto. Anita caccia un urlo e si butta su Simone. Poi si stacca.
“Mi scusi”.
“Ha paura?”.
“Un po’”.
“Se vuole stare qui, deve darmi la sua parola che resterà qui dentro e che si assume ogni rischio”.
“Ah”.
“Lo dica”.
“Le do la mia parola…”.
Simone, nella penombra, le fa cenno di continuare.
“…che resterò qui dentro e che mi assumo ogni rischio”.
Anita armeggia nel buio, smanetta un po’ con la scatola di fiammiferi, poi accende una candela. Poi un’altra, vicino al caminetto. Ora, a quella luce, Anita guarda bene Simone, i suoi occhi azzurrissimi e vagamente minacciosi, e non sa se aver paura… o se essere eccitata. Le rispondono i suoi slip, immediatamente bagnati, e la voglia improvvisa di toccarsi fino a farsi venire.
La seconda, decisamente la seconda.
“Davvero vuole restare qui da sola?”.
“Già”.
Adesso è lui che la guarda e Anita se ne accorge. Nota i suoi occhi che scendono lungo i jeans attillati e il maglioncino stretto.
“Va bene. La sua è l’ultima casa che dovevo controllare”.
“Tutto a posto, allora”.
Lui le si avvicina. Anzi, si china su di lei.
“Voglio esserne sicuro”.
I suoi occhi feroci si piantano nei suoi. Sono a un millimetro, sente il respiro caldo di lui. E in un attimo, si alza sulle punte dei piedi. Sente le labbra di lui e il suo profumo, la sua pelle. Sa di aria fresca, di muscoli tonici.
Lui la solleva come un fuscello e la adagia sul grande tavolo di legno. Continua a baciarla, mentre le sue mani dure le sbottonano i jeans e glieli fanno scivolare via. Poi quelle manone le sfilano anche le mutandine e si fanno strada tra le sue cosce. E poi, dentro di lei. Anita gli fa cadere il giaccone e passa a sfilargli il maglione.
Sotto, ha solo una maglietta. E resta sorpresa da quanto poco ci mette, lui, a sbottonarsi i pantaloni e a togliersi gli scarponi. Quando è tutto nudo, lei non riesce a smettere di guardare quell’uomo imponente, rosso di barba e sul petto, un barbaro che le sfila il maglione e le slaccia il reggiseno. Poi la prende in braccio e la posa sul tappeto di pelliccia, davanti al caminetto. E lei ammette, ma solo con se stessa, che le piace sentirsi in balia di quel grosso orso, che ora assaggia i suoi seni e succhia dai suoi capezzoli, poi scende tra le sue cosce.
Lei ride per un attimo quando la sua barba le fa il solletico, ma quando lui inizia a leccargliela, grida di piacere e basta. Poi lui si stende e lascia che sia lei a salire su di lui. Anita si sistema sopra Simone, pronta a cavalcarlo e sente il suo cazzo che le entra dentro fino in fondo.
Lei si muove piano, prendendosi ogni momento di piacere, mentre i muscoli di lui si rilassano, le mani di lui corrono ad accarezzarle i fianchi, poi di nuovo su, a strizzarle le tette, e poi sul collo. Lei gli bacia le dita, poi le lascia scendere di nuovo a stringerle i seni. Lo cavalca, sempre più forte. Sente il suo cazzo che scava dentro di lei, che la infilza sempre di più, e allora grida mentre viene, muovendosi sopra di lui, godendosi ogni singolo istante di quell’orgasmo fortissimo. Poi, scende di colpo. Glielo prende in mano e lascia che lui si scarichi nella sua bocca, caldo e pulsante.
Poi, esausta, crolla accanto a lui, che le accarezza un seno.
“Davvero ero in pericolo?”.
“No. La piena è finita due ore fa. Ma ti avevo vista in paese e ho pensato di venire a fare il mio dovere”.
“Bravo. Però, insomma… non so”.
“Cioè?”.
“Secondo me sono ancora in pericolo. Ti va di controllare ancora?”.
“Dove?”.
“Non so… qui”.
Lei gli prende la mano e la porta tra le sue gambe. Lui sorride e si mette sopra di lei.
“Tutto, per la tua sicurezza”.

